LE SOSPENSIONI


Tratto da: MOTOTECNICA
Un buon telaio non servirebbe a nulla se non avesse sospensioni adeguate. Iniziamo un viaggio nel mondo delle molle e dello smorzamento viscoso.
Ormai nel linguaggio tecnico è usuale individuare in un veicolo le cosiddette masse “sospese” e quelle non sospese”. Se si ipotizzasse di realizzare un telaio rigido, come avviene nelle comuni biciclette, tale distinzione non avrebbe luogo e tutto il veicolo risulterebbe “non sospeso”. Le sospensioni realizzano quella separazione, il cui compito è essenzialmente quelli di isolare il telaio e il carico dai movimenti verticali che le ruote compiono per seguire il tracciato, non solo per ragioni di confort ma anche per garantire il migliore comportamento dinamico in modo da mantenere una condizione di aderenza tra pneumatico e terreno.
A tale scopo si devono obbligare le ruote a non “saltare” sulle asperità disgiungendo il loro movimento da quello del vicolo. In condizioni dinamiche infatti, l’aderenza si riduce progressivamente al diminuire del carico gravante sulle ruote (come un semplice sobbalzo).
Nel caso limite in cui si azzeri il contatto con il terreno, si annulla il concetto stesso di aderenza. Alla luce di quanto detto si può meglio comprendere perché sia consuetudine definire quali masse “sospese” l’insieme del telaio, propulsore e pilota, mentre le ruote e parte della trasmissione vadano a costituire le masse “non sospese”. La condizione ideale vedrebbe queste ultime muoversi quanto più prontamente e velocemente possibile, allo scopo di copiare le asperità della strada e adeguandosi alle esigenze della guida, mentre le prime rimarrebbero ipoteticamente imperturbate. Perché il comportamento reale si avvicini il più possibile a quello sopra descritto, è evidentemente necessario che le masse non sospese siano minimizzate, ottenendo anche una riduzione dell’effetto giroscopico e del momento di inerzia. Le sospensioni, al fine di garantire le condizioni dette sopra devono possedere due qualità essenziali: elasticità e smorzamento. In fase di accelerazione si ha un trasferimento di carico verso il posteriore del motociclo: se non vi fossero le sospensioni, con forti accelerazioni la ruota anteriore perderebbe progressivamente aderenza sino a distaccarsi dal suolo. Le sospensioni permettono di assorbire i trasferimenti di carico garantendo il contatto ruota/asfalto più a lungo: solo in casi estremi si ha comunque il distacco della ruota anteriore. Similmente succede in fase di frenata.

AZIONE ELASTICATutti sappiamo come funziona una molla: sottoposta ad un carico essa si deforma ed è quindi in grado di restituire una forza uguale a quella che le è stata impressa. L’entità della deformazione è proporzionale alle caratteristiche della molla stessa, in dipendenza del materiale e della geometria; tale proporzionalità è definita da un fattore detto costante elastica, indicato convenzionalmente con la lettera k. La legge di Hooke in forma semplificata esprime appunto che F = kx, dove F è il carico gravante sulla molla e x il suo accorciamento rispetto alla misura iniziale. Una molla può infatti lavorare sia in compressione che in trazione e a seconda della sollecitazione impressa le molle possono lavorare per torsione o per flessione. Di quest’ultimo tipo sono solo le cosiddette balestre.La maggioranza delle molle prevede un filo metallico sottoposto a torsione: nella forma più elaborata esso è avvolto a spirale e costituisce la più comune molla ad elica. La geometria di questi elementi elastici è caratterizzata da tre parametri che si sommano alle caratteristiche proprie del materiale: la sezione del filo, il diametro di avvolgimento delle spire e il loro numero. In particolare, l’elasticità complessiva di una molla ad elica è direttamente proporzionale alla quarta potenza della sezione del filo e inversamente proporzionale alla terza potenza del diametro di avvolgimento e del numero delle spire.
Per quanto concerne il materiale, come è noto i metalli presentano un comportamento elastico più o meno esteso a seconda delle componenti e delle lavorazioni cui vengono sottoposti. In particolare è definito un limite di elasticità, cioè un valore di sollecitazione superato il quale la deformazione diventa permanente, che evidentemente non deve mai raggiungersi. Il cosiddetto acciaio armonico, maggiormente usato per questi scopi, permette di raggiungere tensioni di rottura elevatissime (fino a 2000 N/mm2), mentre leghe metalliche particolari assicurano risultati ancora migliori. Elementi privilegiati per la costruzione di molle sono il silicio, il cromo e il vanadio. Un trattamento superficiale specifico per questi elementi meccanici è la “pallinatura”; il prodotto finito viene martellato a freddo mediante un violento getto di sferette metalliche. A livello superficiale si genera uno strato di compressione (tensione residua) dovuto al superamento del limite plastico nei punti di impatto (cristallizzazione): vengono così notevolmente aumentati la resistenza a fatica e la durezza superficiale. Tale tecnica è usata comunque in molte applicazioni meccaniche, particolarmente per le leghe leggere come l’ergal per la realizzazioni di parti sottopoti a lunghi sforzi, come le corone delle trasmissioni. Sulla base di quanto detto sinora circa le caratteristiche di una molla, la sua rigidezza rimane costante per tutta l’escursione: in realtà, nel costruire una sospensione, l’ideale è avere una certa progressione, superiore a quella lineare offerta dalla legge di Hooke. Tradotto in pratica, la rigidezza non deve mantenersi costante, ma crescere all’aumentare della compressione di modo che sulle piccole asperità si abbia una certa “morbidezza” della sospensione, mentre nelle brusche variazioni di carico e sulle asperità più accentuate si ottenga una risposta più “dura”.
Per modificare il comportamento della molla in primo luogo si può realizzare la spirale con un variazione del passo lungo l’elica oppure, in casi più rari, con una variazione del diametro di avvolgimento. Si realizzano cosi le cosiddette molle progressive, la cui caratteristica non è più una retta, bensì una curva il cui andamento può essere convenientemente deciso a tavolino.
Un espediente più economico per avvicinarsi a tale risultato viene dalla giustapposizione in serie di più molle con caratteristiche differenti: in questo caso però la caratteristica non è più una curva continua ma una spezzata, dal momento che ciascuna mollaesprime la propria caratteristica una volta che le più deboli sono andate a pacco. Nelle applicazioni attuali è invece generalizzata, specie al posteriore, l’adozione di sistemi meccanici per raggiungere la progressione di intervento voluta, attraverso una serie di leveraggi in grado di modificare in maniera continua la linea di azione della forza principale rispetto a quella agente sulla molla. Per ora si rimanda la trattazione di questi elementi a un altro momento. Assume particolare importanza l’angolo che sussiste tra la verticale e l’asse della molla, dal momento che solo se essi coincidono tutto il carico può scaricarsi sulla molla stessa, un esempio è la Kawasaki EN6R che con il suo mono molto inclinato in avanti garantisce una certa progressione anche senza l’ausilio di leveraggi. In molte vecchie applicazioni si sfruttava appunto una serie di diversi attacchi per la sospensione tali da far lavorare le molle su angoli più o meno variabili rispetto alla verticale. . 
AZIONE SMORZANTE .
Un elemento puramente elastico reagirebbe a ciascuna sollecitazione seconda una legge armonica, originando una serie di oscillazioni e, in casi estremi, entrando addirittura in risonanza: è evidente che questa attitudine non può essere tollerata. Per quanto si è detto il compito di una sospensione deve ritenersi esaurito una volta che sia sparito il fattore esterno da filtrare, senza che si abbiano successive ripercussioni. Occorre perciò un elemento che controlli ed esaurisca le oscillazioni innescate dalla molla, espletando un’azione smorzante.
L’ammortizzatore è appunto preposto a questo scopo: si tratta di un organo che nella forma più essenziale sfrutta il fenomeno dell’attrito tra due solidi per dissipare l’energia immagazzinata dalla molla (i cosiddetti ammortizzatori a “frizione”). Le attuali realizzazioni, per garantire la migliore efficienza e durata, si affidano alla viscosità di un fluido, ovvero quella resistenza che le particelle allo stato liquido incontrano nel loro scorrere le une sulle altre o su di una superficie. Anche nel caso della viscosità, si può esprimere in forma molto semplificata la forza dissipata come F = cv, dove c’è un generico coefficiente di viscosità v la velocità relativa del fluido. È evidenteche l’azione smorzante è efficace solo quando v ≠ 0, vale a dire quando la sospensione è in movimento e cresce in misura proporzionale alla rapidità del movimento. Il coefficiente c in realtà dipende anch’esso da una serie di fattori variabili, ma in prima approssimazione possiamo definirlo come un indice della geometria dell’ammortizzatore e della natura del fluido in esso contenuto. La forma più comune consiste nel cosiddetto ammortizzatore idraulico telescopico: la stessa forcella anteriore tradizionale altro non è che un dispositivo che ingloba in un’unica struttura un ammortizzatore di questo tipo e le molle. Uno stelo scorre dunque dentro un fodero cilindrico ed è collegato ad un pistone che separa due camere. Ogni movimento del pistone costringe l’olio a spostarsi da un volume all’altro, passando attraverso delle valvole specifiche, solitamente del tipo a lamelle, calibrate per offrire la giusta resistenza alla traslazione. Questo il principio di base: la tecnica ha poi negli anni portato a tutta una serie di varianti per la gestione dei volumi di fluido in movimento, in particolare con l’aggiunta di camere contenenti gas in pressione (generalmente azoto) in grado di espletare una ulteriore azione elastica: vedremo più in la nel dettaglio questa diverse tipologie. Tornando alla tecnica di base, assume dunque grossa importanza in termini di funzionamento la viscosità dell’olio impiegato:questo parametro è tuttavia suscettibile alle variazione di temperatura e, come in tutti i fenomeni dissipativi, durante il funzionamento, un ammortizzatore sviluppa una discreta quantità di calore. Va da se che diventa critico il raffreddamento dell’insieme: a tale riguardo la presenza di volumi di gas contribuisce in una certa misura,specialmente se vi sono serbatoi di espansione esterni e lontani dal corpo ammortizzante.
Per chiudere questa sezione occorre ricordare che qualunque tipo di molla non si comporta come un corpo elastico perfetto, ma mantiene una certa componente di smorzamento al suo interno, conseguente alla trasformazione di energia interna di una parte di energia elastica immagazzinata. Tale capacità smorzante è tenuta in debita considerazione da parte dei progettisti, dal momento che può alterare sensibilmente il comportamento dell’ammortizzatore, il quale, per la presenza di volumi di gas in pressione, può svolgere un’azione elastica. Dunque i due elementi non sono mai perfettamente indipendenti ma costituiscono un insieme la cui perfetta messa a punto appare, in linea di principio, un compito assai arduo.